Emir
Kusturica. Sotto, la scena
della
fiaccolata sul fiume
nel
"Tempo dei gitani"
e
il cast di "Underground",
Palma
d'Oro a Cannes nel 1995
Link:
Sito
dedicato a Emir Kusturica
(in
inglese e in francese)
|
Emir
Kusturica
La
poetica del disordine
Sfrenata
e surreale, l'opera di Kusturica rappresenta una delle novità più
significative degli ultimi vent'anni di cinema. Un'epopea
balcanica iniziata nei circoli underground di Sarajevo degli anni
70
di
Claudio Fabretti
"Se
vuoi essere veramente universale,
parla
del tuo villaggio"
Honoré
De Balzac
Il
cinema di Emir Kusturica è una raffigurazione pagana e surreale
del caos. Un caleidoscopio di immagini eccessive e sfrenate,
all'insegna di uno humour alticcio e di una livida vena poetica.
Veterano del disordine, non solo come chiave artistica ma anche
come stile di vita, il regista di Sarajevo ha attraversato
vent'anni di cinema con la fantasia di un bambino e l'animo
selvaggio di un pirata, dipingendo storie di un mondo alla deriva,
proprio come il suo (ex) paese, sgretolato dalla violenza, dalla
follia e dall'avidità. La vecchia Trabant divorata da un maiale -
una delle sequenze più memorabili di Gatto Nero, Gatto Bianco
- è in questo senso la metafora "definitiva" della sua
visione anarchica e apocalittica delle umane sorti.
Costruiti
per cerchi concentrici (la famiglia, la tribù, il clan, intesi
come microcosmi di un universo più ampio), i film di Kusturica
non possiedono mai una chiave di lettura univoca e razionale: sono
un susseguirsi di voli pindarici sulle ali dell'immaginazione, un
continuo invito al sogno. Basta lasciarsi rapire dalla traiettoria
di un palloncino (Arizona Dream), dal lento incedere di una
fiaccolata sul letto di un fiume (Il Tempo dei Gitani), da
un velo da sposa che scivola negli abissi del mare (Underground)
per entrare in un universo poetico che non è poi così lontano da
quello di Federico Fellini, non a caso uno dei maestri dichiarati
del regista bosniaco. Il perché lo raccontava lo stesso Kusturica
in una spassosissima intervista concessa ad
"Avvenimenti" nel 2000: "Non sopporto il
naturalismo dei film di Hollywood, dove il personaggio esce dalla
macchina, apre la porta, sale sull'ascensore, esce dall'ascensore,
attraversa i corridoi, apre la porta e poi chiude la porta.
Trasporta grossi sacchetti del supermercato e poi li butta nel
frigo. Poi dal frigo tirano fuori un gelato. Squilla il telefono.
Allora lui si preoccupa. Risponde al telefono appoggiandolo sulla
spalla. Amo i film di Fellini perché non ci sono protagonisti che
si appoggiano telefoni sulla spalla".
Con
Fellini, Kusturica condivide anche la visione circense e surreale
del cinema ("Credo che il circo sia la forma spettacolare più
forte prima del cinema, una di quelle che lo ha anticipato",
spiegherà nel 1998). Ma la chiave grottesca è spesso in
Kusturica metafora di situazioni sociali e politiche legate alla
storia del suo paese. Un messaggio che si è rivelato talvolta
ambiguo, al punto da attirare al cineasta di Sarajevo accuse
disparate, la più infamante delle quali lo dipinse come
"asservito" all'establishment belgradese dell'era
Milosevic e cinico speculatore sulle disgrazie del suo popolo (rom
inclusi). Un linciaggio culturale figlio della stagione dell'odio
balcanico che tutto ha travolto e spazzato via, compreso il
confine tra arte e propaganda.
Le
zone d'ombra del cinema di Kusturica, tuttavia, nascondono
soprattutto la confusione di un uomo divenuto globetrotter
per scelta e apolide per necessità storica: "Quando è
sparita la Jugoslavia, io sono diventato invisibile", ama
spesso ripetere.
L'Emir
Kusturica che si apposta per la prima volta dietro la macchina da
presa, però, ha un Dna politico fin troppo chiaro: è uno dei
tanti esponenti dell'intellighenzia jugoslava degli anni
70, che dietro l'arte cela il dissenso per il regime titoista.
Nato a Sarajevo nel novembre del 1954, Emir riflette fin
all'interno della sua famiglia le contraddizioni del suo paese: le
origini dei suoi sono serbe, ma durante l'occupazione turca della
Bosnia i suoi avi si convertirono all'Islam; suo padre, però, è
un ex partigiano di Tito, che mette al bando la religione tra le
mura di casa.
Kusturica
gira qualche cortometraggio e va a studiare per cinque anni a
Praga all'Accademia cinematografica Famu (studiando con Otakar Vàvra
e Jiri Menzel), dove si laurea nel 1977 con il corto Guernica
(1977), che vince un premio al Festival di Karlovy Vary, in
Cecoslovacchia. La pellicola contiene già in nuce alcuni
tratti caratteristici del suo cinema, dalla denuncia delle
discriminazioni al gusto per il grottesco (è la storia di un
ragazzo, che, appreso dal padre che gli ebrei si riconoscono per
la forma del naso, prende un album di famiglia, vi ritaglia tutti
i nasi fino a ricomporli in un'immagine). L'influenza della scuola
praghese, in particolar modo di Milos Forman, sarà determinante
per la futura carriera del regista bosniaco.
Al
suo ritorno a Sarajevo, agli inizi degli anni Ottanta, Kusturica
inizia a frequentare i circoli culturali della città e incontra
alcuni musicisti, tra cui Goran
Bregovic, allora leader dei Bijelo Dugme ("Bottone
Bianco"). Lo stesso regista suona con un gruppo: "Per
noi la musica rock era l'unico modo di gridare la nostra rabbia
senza rischiare la galera - racconterà qualche anno dopo - Con
questo, non voglio dire che la Jugoslavia fosse una invenzione di
Tito. Ma se lui avesse fatto le cose come si doveva, dopo la sua
morte non saremmo arrivati a questa tragedia".
Kusturica
lavora per la tv e realizza due film: il tragicomico Arrivano
le spose (1979) e Caffè Titanic (1980), con il quale
vince il festival della televisione jugoslava di Portorose. Due
anni dopo, l'approdo al grande schermo con il delicato bozzetto
familiare di Ti ricordi di Dolly Bell? ("Sjecas li se
Dolly Bell?"), su sceneggiatura di Abdulah Sidran.
Malinconico amarcord jugoslavo, ricco di quadretti suggestivi (c'è
perfino la "Ventiquattromila baci" di Adriano Celentano
cantata in coro con improbabile accento slavo!), il film getta uno
sguardo nostalgico sull'adolescenza: "Ogni giorno, sotto ogni
profilo progredisco sempre di più", continua a ripetersi il
sedicenne sarajevese Dino Zolja, il cui passaggio all'età adulta
corre parallelo all'edificazione del socialismo in una Jugoslavia
anni Sessanta che già sogna la vicina Italia. Una crescita che si
snoda su due piani: quello del contrasto generazionale di Dino con
il padre, comunista e ubriacone, e quello sentimentale, segnato
dall'iniziazione erotica ad opera dell'avvenente "Dolly Bell",
così ribattezzata in omaggio alla spogliarellista del Crazy Horse
nel film di Blasetti "Europa di notte" del 1959. Ti
ricordi di Dolly Bell? conquista il Leone d'Oro a Venezia come
migliore opera prima e lancia Kusturica nel firmamento del cinema
europeo.
Il
successo viene bissato al Festival di Cannes quattro anni dopo con
Papà è in viaggio d'affari ("Otac na sluzbenom putu"),
un'altra storia di confine, sempre su sceneggiatura di Abdulah
Sidran. E' ancora il microcosmo familiare visto con gli occhi di
un bambino al centro dell'opera di Kusturica. Per il piccolo Malik,
infatti, il papà Mesha - un funzionario di partito che nel 1948,
durante il distacco di Tito dalla politica di Stalin, viene
accusato di tradimento e deportato – è semplicemente... in
viaggio d'affari. Il banchetto di nozze finale sarà uno dei tanti
che caratterizzeranno le opere di Kusturica, assumendo, via via,
significati diversi. Il film segna anche la prima collaborazione
del regista bosniaco con l'attore Miki Manojlovic (poi
protagonista di Underground).
Da
queste prime prove emerge anche la denuncia di Kusturica nei
confronti del regime titoista e post-titoista e della generazione
precedente alla sua: "Le generazioni che contesto di più -
racconterà ad "Avvenimenti - sono quelle di mezzo, perché
sono le più miserevoli, mentre i vecchi sono vicini alle mie
emozioni".
Con
il successo del suo secondo film, Kusturica è ormai una star. Nel
1986, decide di entrar a far parte del gruppo "Zabranjeno
Pasanje" come bassista. Poi, per quattro anni scompare dalla
scena cinematografica, si dedica alla sua band e cerca
sceneggiature adatte.
L'occasione
per il ritorno al cinema è un fatto di cronaca: una notizia sul
commercio di bambini zingari in Italia. Per approfondire
l'universo gitano, il regista si trasferisce a Skopje (Macedonia)
e si iscrive a una squadra di calcio composta tutta da rom, in un
quartiere dove ne vivono oltre 50.000. Nasce così Il tempo dei
gitani ("Dom za vesanje"), con il quale Kusturica
vincerà il Festival di Cannes come miglior regista nel 1989. Gli
attori, tutti non professionisti, sono veri rom, completamente
analfabeti, che il regista ha conosciuto direttamente.
Improvvisato per ben due terzi delle riprese, Il tempo dei
gitani è un film stupefacente, traboccante drammaticità ed
epos, cruda violenza e tenera elegia. Memorabile, in particolare,
la fotografia di Vilko Filac, capace di trasformare in poesia
finanche la polvere degli accampamenti e i miserevoli interni.
L'acme è la sopraccitata scena della festa sul fiume, uno dei
momenti di maggior lirismo cinematografico degli ultimi
trent'anni, sottolineato dalle musiche di Goran
Bregovic che inizia così una collaborazione dalle alterne
fortune con l'ex "rivale musicale". Il tema centrale del
film, "Ederlezi" (con il coro delle Voci bulgare), è
uno dei grandi capolavori del compositore bosniaco.
La
trama si snoda attorno alla vicenda del giovane zingaro Perhan
che, spinto dalla volontà di far guarire la sorella paralitica
Daza, parte per l'Italia con un uomo del suo villaggio, il quale
gli promette lavoro e ricchezza. Ne scaturisce un road-movie
melodrammatico e visionario, in cui per la prima volta emerge
compiutamente la verve grottesca di Kusturica, tra poteri
telecinetici, improbabili guaritrici e cucchiai che camminano sui
muri.
Ritratto
in chiaroscuro del popolo che "quando non fa festa è come se
non esistesse", sui suoi costumi e sulla sua magia, ma anche
sulle sue leggi spietate (dalla mafia dei clan alle agghiaccianti
testimonianze sullo sfruttamento di donne e bambini), Il tempo
dei gitani non si propone, tuttavia, intenti moralisti:
"Nel mio cinema non ci sono né buoni né cattivi. Tutti i
miei personaggi vivono nel contesto pagano", spiega il
regista.
Alla
fine degli anni Ottanta, Kusturica viene invitato dal suo maestro
Milos Forman a tenere una serie di lezioni al Dipartimento di
Cinema della Columbia University. La trasferta si trasforma
nell'occasione per dirigere il suo primo film americano, Arizona
Dream (1992), con tanto di supercast: Johnny Depp, Vincent
Gallo, Jerry Lewis, Faye Dunaway. Il "sogno americano"
di Kusturica, però, non convince appieno. Il regista bosniaco si
muove spesso a disagio nel cercare di applicare gli stilemi del
suo cinema ai paesaggi americani. La storia dell'educazione
sentimentale del giovane Alex non manca di momenti di delicato
lirismo, grazie anche alla bravura di Depp e alla sempre
suggestiva colonna sonora (con un brano, "Tv Screen",
interpretato da Iggy Pop).
Ma i momenti più riusciti, alla fine, sono quelli in cui
Kusturica scatena il suo talento immaginifico, come l'onirica
sequenza dei protagonisti che veleggiano nell'aria. Caratterizzato
da una tribolata lavorazione, il film si rivelerà un flop ai
botteghini americani, ma si aggiudicherà l'Orso d'Argento a
Berlino. In Italia, uscirà con cinque anni di ritardo con il
titolo "Il valzer del pesce freccia".
La
parentesi americana, in realtà, è anche una fuga dalla guerra
che sta incendiando i Balcani. Una realtà dalla quale Kusturica
non può comunque prescindere nel suo quinto lungometraggio, Underground
(1995), con cui torna a vincere la Palma d'Oro a Cannes dieci
anni dopo Papà è in viaggio d'affari. E' il manifesto
dell'estetica caotica e immaginifica di Kusturica, il suo film più
sentito e forse il suo massimo capolavoro. Già il sottotitolo
riassume la tragedia che ancora si sta consumando nella sua terra:
"C'era una volta un paese". Underground è una
tragi-commedia grottesca, che in tre ore e dieci minuti abbraccia
mezzo secolo di storia jugoslava. Innumerevoli le metafore, dalla
realtà oscurata agli abitanti dello scantinato (la
disinformazione nell'era titoista) all'amore di due uomini per la
stessa donna (la schizofrenia della condizione jugoslava),
dall'immagine del crocifisso tenuto dal chiodo dei piedi nel
piazzale devastato dalle bombe (la guerra di religione nei Balcani)
all'isola che si frantuma in arcipelago del finale (la
dissoluzione della Jugoslavia). Ma tutto il film è un'ubriacatura
di immagini, colori, suoni (la straordinaria colonna sonora di
Goran Bregovic). Molte sequenze sono già entrate di diritto nella
storia del cinema, a cominciare da quella iniziale: il
bombardamento sullo zoo di Belgrado, con gli animali che vagano
spauriti tra le macerie. Memorabile anche la prova del trittico
d'interpreti: Miki Manojlovic, Lazar Ristovski e Mirjana Jokovic.
Ma
proprio all'apice del suo successo professionale, Kusturica deve
subire un pesante affondo sul piano personale. Il giornalista
Alain Finkielk su "Le Monde", il giorno successivo alla
sua vittoria a Cannes, accusa Kusturica di essere filoserbo (Underground
era stato girato con finanziamenti serbi), di aver tradito la sua
Sarajevo, non facendo un film sulla tragedia di quella città, ma
sulla Belgrado bombardata dai nazisti nella Seconda guerra
mondiale. "Qualunque sia il posto dove scoppia una guerra, io
ho un solo desiderio, quello di scappare - replicherà Kusturica -
E me ne infischio del Paese che pretende che io muoia per
lui".
Ma
per il cineasta bosniaco, che nel frattempo rompe anche con
Bregovic, è un duro colpo. "Con 'Underground' ho cercato di
chiarire la storia della Jugoslavia fuori da ogni propaganda e dal
bolscevismo per darne un'immagine epica, lontana dalla paranoia
dei poliziotti di tipo orwelliano - racconterà - Purtroppo ho
avuto l'effetto contrario, hanno accusato me di propaganda. Ho
vissuto un periodo davvero difficile, così ho deciso di non fare
più film... Ma non ci sono riuscito!". Alla ritrovata
passione folk-rock che lo spinge a riunire i Zabranjeno Pasanje,
infatti, Kusturica abbina il progetto di un documentario sui
gitani, "Muzika akrobatika", la cui colonna sonora viene
affidata a Nelle Karajilic. Ne scaturirà il film più allegro e
farsesco di Kusturica, Gatto nero, gatto bianco (Crna macka,
beli macor, 1998). Ancora una storia sugli zingari. Ancora una
storia ambientata in quel che resta della Jugoslavia. Ancora un
successo al Festival di Venezia del 1998, dove vince il Leone
d'Argento come miglior film.
Fin
troppo ricco di gag, anarchico ed eccessivo, Gatto nero, gatto
bianco è una "commedia matrimoniale"
incentrata su due famiglie e sulle loro faide, che si trasforma
presto in una sorta di western gitano, all'insegna di continui
colpi di scena e di sublimi tocchi poetici (la meravigliosa scena
d'amore nel campo di girasoli su tutte). Kusturica è il paladino
dei loser, dei perdenti che trovano nel loro candore
l'unica via d'uscita da un mondo criminale, magari affogando la
loro disperazione nella musica, nel sesso e in qualche bicchiere
di rakjia. Più della trama, ancora una volta, conta il senso del
racconto, fondato sull'uso delle luci e dei colori, sui movimenti
frenetici di macchina, sulla recitazione esagitata degli attori,
sui ritmi ossessivi e allucinati della musica. Protagonisti,
ancora una volta, veri rom, ai quali il regista rivolge il suo
sguardo benevolo: "In mille anni della loro storia in
Occidente, gli zingari non hanno mai fatto guerre. Mi piace il
loro stare ai margini della storia, il loro modo di guardare alla
ricchezza e alla povertà, spesso capovolto rispetto al
nostro".
Alternandosi
tra la chitarra e la macchina da presa, nel 2001 Kusturica
realizza Super8 Stories, un documentario sulla musica dei
Balcani girato
e suonato dal regista bosniaco insieme ai
No Smoking del fido Karajilic.
Oggi,
Emir Kusturica vive in Francia, "l'unico paese che ama
veramente il cinema". Ha il viso solcato dalle rughe, i
capelli scarmigliati come sempre. E si aggira con il suo ghigno da
pirata nell'arcipelago in disintegrazione della sua (ex)
Jugoslavia.
FILMOGRAFIA
- FILMOGRAPHY
-
Guernica
(1978)
-
Arrivano le spose
(Nevjeste Dolaze, 1979)
-
Bar Titanic
(Bifet Titanik, 1980)
-
Ti ricordi di Dolly Bell?
(Sjecas li se Dolly Bell?, 1981)
-
Papà è in viaggio d'affari
(Otac na sluzbenom putu, 1985)
-
Il tempo dei gitani (Dom
za vesanje, 1989)
-
Arizona dream
(1993)
-
Underground
(1995)
-
Gatto nero gatto bianco
(1998)
-
Super8 Stories (2001)
|